Le macchine di caffè monoporzionato in Italia
I dati del mercato del caffè mostrano consumi stabili, le dinamiche sono tutte a parità di consumi: diminuiscono gli acquisti di macinato per la moka in cambio del monoporzione (cialda o capsula).
Ti ho mostrato le intenzioni di acquisto di questi nuovi clienti basate su 20 interviste e proposto una mappa dei nuovi target di consumatori del caffè: i bradipi della moka, gli amanti del monoporzionato e i baristi a casa.
In quelle interviste, però, i nostri consumatori ci hanno detto anche qualcosa sui sistemi macchina presi in esame e vorrei proporti una rappresentazione del mercato anche dal lato dell’offerta.
Quali sono i criteri di chi ha scelto le cialde?
La considerazione di partenza che abbiamo rilevato con frequenza è la seguente:
- a differenza delle macchine per sistemi a capsule chiusi (tipo Nespresso) spesso percepite come usa e getta (fatte in Cina, difficili da riparare, paghi poco e se si rompe la butti), la macchina a cialde è fatta per durare; del resto, il prezzo è da 100 euro a salire;
- questo fa si che diversi aspetti diventino rilevanti, primo fra tutti la possibilità di ottenere assistenza e riparazioni in caso di guasti;
- dal momento che tra le motivazioni per la scelta di campo c’è la bontà del caffè, rileviamo una certa sensibilità rispetto alla possibilità di intervenire sulle regolazioni (“la Faber ha la ghiera regolabile, utile sia per scegliere la pressione che per sopperire all’usura”, ci hanno detto alcuni);
- così come la possibilità di effettuare regolari manutenzioni e pulizie in autonomia (“la Aroma Plus è completamente smontabile, quindi quando sento il caffè peggiorare, smonto e pulisco e torna buono”) anche al di là dei liquidi anticalcare;
- per alcuni, il tempo necessario al primo caffè, da quando cioè si accende la macchina, questa si scalda ed è pronta ad erogare il primo caffè, è stato un elemento per la scelta;
- tra questi acquirenti, questo aspetto è stato messo in relazione con la dimensione più che con i consumi elettrici;
- dal punto di vista della distribuzione, abbiamo trovato una certa equivalenza tra acquisti fronte strada presso il rivenditore (spesso consigliere) oppure direttamente online; ma in entrambi i casi, resta rilevante la promessa di assistenza.
Quali sono i criteri di chi ha scelto le capsule?
Anche in questo caso, come prima, le motivazioni di chi ha scelto le capsule quasi capovolgono quelle di chi ha scelto sistemi a cialde ed ovviamente la scelta a monte condiziona anche la scelta a valle. Così:
- il prezzo ridotto sinonimo di libertà (usa e getta);
- l’ottimo rapporto design/prezzo, per cui ricevo una macchina dall’aspetto gradevole già a valori molto bassi;
- per alcuni, le dimensioni contenute della macchina hanno contribuito alla scelta d’acquisto; questo è un aspetto che fa parte del design ma per alcuni assume rilievo autonomo.
Una matrice degli operatori
Con sorpresa, tra i nostri intervistati, quasi nessuno ha parlato di sostenibilità ambientale, tema centrale per il futuro cui per ora credono più i produttori che i nostri intervistati.
Se consideriamo le variabili prezzo e durata, possiamo proporre i seguenti posizionamenti di macchina: in questa rappresentazione, le più diffuse a cialde sono sui prezzi bassi, assistenza non richiesta (usa e getta);
non esiste un equivalente nel mercato delle macchine a cialde, che invece partono già più in alto in termini di prezzo, per poi scalare in alto a mano a mano che aumentano le variabili gestite e il design diventa rilevante.
Ovviamente è una rappresentazione di sintesi e di comodo, illustrata per mostrare un approccio di marketing. Per intenderci, la gamma Nespresso occupa quasi tutte le nicchie, qui rappresento per comodità solo la Vuerto, che si propone con una soglia di prezzo paragonabile ai sistemi a cialde entry level.
Ultima nota: abbiamo in conclusione chiesto a tutti se nelle loro analisi più o meno lunghe e preliminari all’acquisto avessero trovato nei siti delle aziende consultate informazioni di prodotto corrispondenti ai punti indicati sopra.
La riposta è stata abbastanza unanime: no.
Sembra esserci quindi uno scollamento tra quello che le aziende raccontano dei propri prodotti e quello che i consumatori vorrebbero sapere, facendo emergere un’opportunità per i brand che vogliono avvicinarsi di più al consumatore finale.
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