La morte del web e i lati oscuri di Facebook
Mentre Facebook supera i 500 milioni di utenti iscritti (avendo già nel mirino il miliardo) e tutti aspettiamo con ansia di vedere il film che aggiungerà leggenda al mito, non tutto ciò che luccica ...
Il ruolo della nostra web agency è quello di indicare alle imprese (clienti attuali e futuri) se e come Facebook (ed in generale internet ed il web) possa aiutare gli obiettivi di business.
E lo stile con cui tradizionalmente noi di Meetweb affrontiamo questo ed altri temi non è quello del megafono degli altrui entusiasmi ma lo sforzo continuo di applicare la nostra intelligenza, la nostra competenza e la nostra esperienza per un contributo che aggiunga un po' di valore.
Su Facebook, in particolare, abbiamo già detto come esso rappresenti senza dubbio un'opportunità per le imprese italiane visto il numero di utenti presenti (italiani e non); ma lo abbiamo fatto mostrando pro e contro, suggerendo condizioni di validità, evitando di alimentare l'ultima moda che vuole in Facebook la panacea di tutti i mali.
Con lo stesso spirito critico (inteso come atteggiametno riflessivo) vorrei proporre in questo post non la lista degli osanna a Facebook ma il suo contrario, l'inizio di una lista delle critiche che da più parti e con diverse argomentazioni gli giungono.
... ...
La provocazione: il web è morto!
Nella copertina di Wired di settembre si annuncia che il web è morto! La notizia è ripresa anche da Repubblica:
"Mentre l'uso di internet continua a crescere, il web che tutti navighiamo con i browser diventa sempre meno rilevante scalzato da nuovi metodi di fruizione della rete come le onnipresenti "app" che hanno colonizzato gli smartphone e i tablet.
L'era di internet vissuta attraverso i browser (i programmi che servono a visualizzare le pagine html come Internet Explorer o Firefox), caotica, creativa, gratuita e un po' anarchica lascia quindi il posto al mondo delle applicazioni, più ordinate e funzionali ma che devono essere approvate da qualcuno, scaricate dopo una registrazione e, spesso, pagate".
Chris Anderson (direttore di Wired e ideatore del concetto di "coda lunga") spiega che ad ucciderlo siamo stati noi, gli utenti. E lo abbiamo fatto, sostanzialmente, scegliendo applicazioni dedicate che spesso lavorano meglio e si navigano in mobilità più comodamente rispetto al web:
"It’s driven primarily by the rise of the iPhone model of mobile computing, and it’s a world Google can’t crawl, one where HTML doesn’t rule".
In questo scenario, il Web appare come una delle possibili applicazioni che esiste in Internet e convive con le altre (Facebook, Twitter, gli RSS feeds reader ecc) che utilizzano il protocollo IP/TCP per spostare pacchetti di informazioni.
Questi paccchetti sempre più spesso sono utilizzati da applicazioni specializzate che non sono Web (Google non entra, l'hmtl non vale) ma che rappresentano mondi paralleli al Web, che noi scegliamo per comodità.
"This architecture — not the specific applications built on top of it — is the revolution".
Il fatto che, così facendo, alimentiamo mondi chiusi ed alternativi che, come tali, sono soggetti al controllo dei loro gestori (Steve Jobs, Mark Zuckerberg ... ) è una conseguenza che siamo disposti ad accettare. E che, sempre secondo l'autore, è un'evoluzione naturale di un'economia capitalistica:
"This is the natural path of industrialization: invention, propagation, adoption, control. Now it’s the Web’s turn to face the pressure for profits and the walled gardens that bring them".
Per Michael Wolff, invece, il Web è stato ucciso dagli operatori del mercato che hanno impresso al sistema un'evoluzione innaturale che comprime i valori di collettivismo e gratuità in nome di un'idea competitiva da media tradizionale:
"If we’re moving away from the open Web, it’s at least in part because of the rising dominance of businesspeople more inclined to think in the all-or-nothing terms of traditional media than in the come-one-come-all collectivist utopianism of the Web. This is not just natural maturation but in many ways the result of a competing idea".
Per l'autore, l'evoluzione del Web è sempre stata animata da una competizione durissima "with many companies banking their strategy on controlling all or large chunks of the TCP/IP-fueled universe. Netscape tried to own the homepage; Amazon.com tried to dominate retail; Yahoo, the navigation of the Web. Google was the endpoint of this process".
E, per certi versi, era inevitabile che "because Google so dominated the Web, that meant building an alternative to the Web. Enter Facebook".
Facebook è una piattaforma libera ma chiusa. A Google è interdetto l'accesso ai server e, quindi, la sua funzione fondamentale: il search. E gli sviluppatori sono incoraggiati a sviluppare applicazioni specifiche per il suo ambiente. Facebook, ormai, è un mondo parallelo al Web, un'applicazione che usa Internet ma non è più Web, "a ruthless paragon of everything the Web was not: rigid standards, high design, centralized control".
E questo non per naturale evoluzione o per scelta degli utenti ma solo come risultato di una competizione violenta tra i grandi player del mercato.
Stessa via hanno seguito i creatori di contenuto (aziende editoriali, case discografiche e cinematografiche ecc). Se l'unica via di profitto sul Web è generare traffico con contenuti interessanti (grazie al SEO su Google) per poi dirottarlo sull'Advertising (venduto da Google), i creatori di contenuto non solo si trovano esposti ad un trade-off inconciliabile (dare spazio al contenuto o alla pubblicità?) ma con le mani legate da Google ("In the Google model, there is one distributor of movies, which also owns all the theaters").
"Finally, after years of experimentation, content companies came to a disturbing conclusion: The Web did not work. [...] And so they began looking for a new model, one that leveraged the power of the Internet without the value-destroying side effects of the Web. And they found Steve Jobs".
Il mondo Apple, continua Wolff, alla stregua di Facebook, è un mondo chiuso, in cui Apple controlla il contenuto (con l'approvazione), il look ad feel (che vuol dire l'esperienza), la distribuzione (con iTunes) e i device (iPod, iPhone, iPad) ed in questo recinto chiuso ottimizza i profitti per gli attori coinvolti come il Web non riusciva a fare.
"Since the dawn of the commercial Web, technology has eclipsed content. The new business model is to try to let the content — the product, as it were — eclipse the technology. Jobs and Zuckerberg are trying to do this like old-media moguls, fine-tuning all aspects of their product, providing a more designed, directed, and polished experience".
Le critiche a Wired
La notizia è stata ripresa anche da Punto Informatico. Lascio agli autori del doppio articolo parallelo illustrare le proprie tesi. Su Repubblica si da' conto delle prime reazioni alla provocazione di Wired e, secondo me, vale la pena leggerle.
La più interessante di queste è ben spiegata da Alberto Cottica in questo suo post e verte su 2 elementi:
- la rappresentazione del dato (utilizzo di banda) in valori assoluti invece che relativi mostra il web non più in discesa ma in decisa crescita;
- inoltre, il dato in sè non è molto significativo perchè "misurare l’uso di internet in consumo di banda, invece che – diciamo – in tempo di fruizione sopravvaluta l’importanza degli usi multimedia (video e VOIP) rispetto a quelli basati sul testo (email)"
Stesse critiche avanzate anche qui e da parte di molti altri. Per la verità, condivido le critiche all'articolo, anche nella parte in cui Cottica sottolinea che "se noi ci comportiamo come se la previsione fosse vera, contrinbuiremo a farla avverare, comprando iPad e apps".
Facebook è un mondo CHIUSO!
Ciò nonostante, chiarito che il titolo di Wired cerca la provocazione, vorrei per ora astenermi dalla discussione sul fatto che il web sia morto o no e per quale mano e tenere, invece, la considerazione sui sistemi CHIUSI.
Al di là della provocazione, dei tecnicismi per spiegarla, delle motivazioni addotte dagli autori e delle critiche giunte da più parti, Facebook è veramente un mondo chiuso così come il mondo Apple.
Cosa significa per un'impresa che Facebook è un'applicazione chiusa?
E più in generale, se questo vale anche per altre applicazioni attualmente impiegate dalle imprese nelle loro attività di web marketing, come per esempio Twitter, quali implicazioni vi sono per gli investimenti da programmare?
Inoltre, in un sistema chiuso, qual è il controllo che un'impresa conserva dei propri dati e dei commenti, dei feed back e delle statistiche che raccoglie? Sono necessarie precauzioni o memorie esterne?
Indipendentemente dalla provocazione, l'articolo di Wired mette bene in luce un'evoluzione in atto di Internet di cui tenere conto. Ed allo stesso tempo, per quanto riguarda Facebook che quell'evoluzione guida o perlomeno rappresenta meglio, mette in guardia rispetto alla sua caratteristica di sistema chiuso. Questo sarà senza dubbio un tema da approfondire nel futuro ...
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