Come gestire la propria campagna di Social Marketing – dalla teoria alla pratica [Case History]

Non molto tempo fa abbiamo condotto una breve ricerca sull’approccio al social marketing da parte di alcuni grandi nomi del mondo del lavoro interinale. Ovviamente si tratta di una ricerca fatta osservando i contenuti pubblici dei siti e degli account social di tali aziende. Non abbiamo mai intervistato i loro marketing manager nè gli IT manager (anche se ci piacerebbe farlo).

Sono emersi comportamenti condivisibili dal punto di vista del web marketing. Ma anche scelte che, a nostro avviso, rappresentano veri e propri errori di web marketing. Le aziende analizzate sono Manpower, Randstad, Gi Group, Adecco. Condividiamo qui le nostre riflessioni.

La metodologia

Le aziende analizzate operano nel mercato del lavoro con lo scopo di fare incontrare la domanda e l’offerta di lavoro.

L’analisi che abbiamo svolto è molto semplice: analizzando le homepage dei siti, i percorsi di navigazione ed i messaggi offerti all’utente, siamo andati alla ricerca del focus delle 4 realtà, abbiamo cioè cercato di capire quali fossero i target di riferimento primario delle stesse (se le aziende, i candidati, entrambi, altri interlocutori ecc … ).

Messo a fuoco questo primo aspetto, abbiamo analizzato l’attività delle 4 aziende sui social network che dichiarano dal sito e ci siamo interrogati sulla coerenza che era possibile riscontrare.

Non sempre, crediamo, è stato fatto un buon lavoro. Vediamo perché.

Il focus sul Target

Nella homepage di Manpower si osserva un linguaggio dedicato ad entrambi i target del mercato del lavoro (non riporto link e immagini a causa della loro restrittiva politica a riguardo): da un lato, vi sono messaggi sull’efficacia dei propri servizi verso le imprese, il numero di contratti stipulati per esse e l’accesso all’area riservata; dall’altro, il riferimento è ai potenziali candidati che possono trovare lavoro grazie all’azienda: ed anche in questo secondo caso, si accede ad un’area dedicata.

Sempre sulla homepage, a dire il vero, vi sono alcuni strumenti che parlano di più ai candidati (trova le opportunità, la app mobile … ) ma nel complesso, navigando anche le rispettive aree riservate, mi pare che Manpower mantenga un focus equilibrato su entrambi i macro-target di questo specifico mercato (imprese e candidati).

A questo punto, prima di procedere oltre, vale la pena fare un inciso: qui parliamo di target molto ampi; certamente l’ufficio marketing di Manpower (e delle altre aziende osservate) ha una visione molto più articolata; ma è altrettanto ovvio che, non avendo parlato con loro, la nostra resta una visione esterna.

Ciò detto, siamo andati ad osservare la presenza dell’azienda sui social network dichiarati: Facebook e Twitter.

Sull’account Facebook troviamo 3.100 utenti (pagina attiva dal 28 settembre 2010, 19 mesi ad oggi), i post sono in prevalenza costituiti da proposte di lavoro o ricerca di corsisti, il target è chiaramente quello dei candidati.

Ma non trovo qui tutte le offerte che trovo sul portale web, gli strumenti della timeline di Facebook potrebbero essere sfruttanti meglio (è vero, la timeline è nuova, però …) e qualche interazione potrebbe essere gestita meglio (vedi figura).

Nel complesso, la pagina è coerente dal punto di vista del target, migliorabile dal punto di vista della gestione.

L’account Twitter, invece, desta maggiori perplessità. Impostato con il profilo personale dell’amministratore delegato della società, farebbe pensare all’intenzione di un dialogo personale, una sorta di voce dall’interno, da chi guida l’azienda … ma pur sempre la voce dell’azienda, che parla ai suoi target.

Invece, molti tweet non sono affatto personali (The Stefano Scabbio Daily is out! che si ripete) e quelli che lo sono, in verità, parlano delle attività dell’amministratore delegato (Alle 12:25 sono ospite a #Fuori Tg #Tg3 con Boeri Cercare lavoro: conoscenze e “spintarelle” sono i canali più utilizzati nel nostro Paese”) e non parlano ad un target specifico.

Inoltre, sulle pagine del portale, non vi sono riferimenti al top manager, ad una linea editoriale dichiaratamente improntata ad un linguaggio più personale o su un registro diverso.

Probabilmente, l’account di Twitter potrebbe essere riorientato verso uno specifico target e/o caratterizzato da uno stile specifico, riconducendolo ad una strategia d’insieme più chiaramente riconoscibile rispetto all’attuale; i 154 follower in quasi un anno di attività sembrano pochi per aziende così grandi e probabilmente, sono il frutto di quelle indecisioni.

La coerenza tra target –> e social scelto

Se si osserva la homepage di Randstad, si può notare come la maggior parte dei messaggi e dei contenuti sia decisamente orientata alle aziende. Ovviamente c’è uno spazio destinato alla ricerca delle opportunità di lavoro per i candidati, ma i servizi elencati e le funzioni disponibili sono tutti dedicati alle aziende. Anche i loghi dei propri clienti indicano alle aziende “fidati di me come hanno fatto loro“.

Ovviamente anche qui troviamo 2 aree dedicate, una ai candidati ed una alle aziende (sono gli interlocutori che fanno questo mercato) ma il focus sembra nettamente più orientato alle aziende. Qual è dunque il social in cui l’azienda decide di concentrare i propri sforzi? Linked-IN!

Sono rimasto favorevolmente colpito dalla coerenza di questa scelta perché è perfettamente in linea con le logiche del web marketing: individuato il target delle aziende come focus della comunicazione, precisato che cerco interlocutori che possano essere interessati ai miei servizi, vado a cercarli lì dove più probabilmente:

  • li trovo
  • e sono ricettivi rispetto al messaggio che desidero veicolare.

Sul primo punto, faccio notare che Randstad non si è limitata ad una presenza istituzionale ma ha aperto un gruppo e che del gruppo fanno parte, in prevalenza, utenti senior e manager, soggetti più facilmente coinvolti nelle scelte di acquisto dei servizi dell’azienda.

Sul secondo punto aggiungo che molti degli utenti del gruppo, probabilmente, hanno anche un account Facebook. Ma questo fatto non basta a fare scegliere Facebook come oggetto dei propri investimenti, perché il contesto specifico di ogni social network impatta sulla capacità di ascolto dei suoi membri e, quindi, sui messaggi che possiamo veicolare.

Il riuso porta cattivi consigli

Sulla homepage di Gi Group tutto (i contenuti, i messaggi, le funzioni, il mood) parla a chi cerca lavoro. Per le aziende c’è solo il link Aziende che porta alla relativa area riservata. Questa scelta è confermata dal fatto che mentre entrambi i target hanno la ricorrente area  dedicata, per i candidati esiste anche un’area Young First in cui l’azienda dichiara il proprio impegno per i giovani per facilitarne l’ingresso nel mondo del lavoro. Non ci sono molti dubbi, quindi, sul focus scelto dall’azienda nella sua comunicazione web: i candidati.

Gli account attivi sono quello su Facebook, su Twitter, su Linked-IN e su YouTube, tutti raggiungibili dall’area Young First.

L’account su Facebook (37.800 utenti cumulati da giugno 2010, 23 mesi ad oggi) è perfettamente in target, sia per lo strumento scelto che per i contenuti postati (opportunità di lavoro, temi legati all’accesso dei giovani nel mondo del lavoro ecc … ).

Sull’uso di Twitter, invece, ho qualche dubbio. I tweet coincidono con le informazioni postate su Facebook e puntano alle stesse risorse (Lo strumento dell’apprendistato professionalizzante ha grandi potenzialità ancora inespresse, soprattutto a causa… http://fb.me/1VXSYxtb7Secondo una ricerca promossa dall’Università IULM di Milano, ai neolaureati manca: la capacità di lavorare in… http://fb.me/1hO5gCHYJ).

Quale può essere il senso di utilizzare 2 canali diversi per dare le stesse informazioni nella stessa modalità? Forse trovare altri utenti in target che però sono altrove? In questo caso, giovani in cerca di lavoro che sono su Twitter e non su Facebook?

Allora bisognerà ammettere che 249 follower sono ben poca cosa (in 22 mesi, luglio 2010) paragonati ai fan su Facebook. Certo, gestito così, con tweet uguali a quelli pensati per Facebook, il costo di gestione dell’account di Twitter potrebbe essere tanto marginale da ritornare all’azienda anche con quei pochi follower (e relativo poco traffico).

Ma implicazioni d’immagine a parte, non vi pare un’occasione sprecata, un’assenza di pensiero strategico, in definitiva un errore di web marketing?

Trovo più sensata la presenza su Linked-IN (e non sono il solo, visto che l’account Gi Group su questo social ha circa 3.800 follower) sia perché, per un’azienda attiva nel mercato del lavoro Linked-IN rappresenta l’approdo naturale (qui, infatti, molti utenti ricercano opportunità di lavoro o specifiche competenze … cioè sono presenti domanda e offerta di lavoro);

sia perché qui è possibile attuare quella politica di gestione improntata al “riuso” con maggiori probabilità di successo. Postare su Linked-IN gli stessi contenuti pensati per Facebook, infatti, offre anche qui (e non in Twitter) la possibilità di commentare e attivare conversazioni … (anche se, per la verità, mi pare una direzione poco esplorata dall’azienda in questo momento).

YouTube è un repository (nel 99% dei casi)

Infine l’account su YouTube. Ammetto di avere a questo riguardo idee forse minoritarie.

  • Innanzitutto, ritengo che YouTube non sia un social network, se non limitatamente al fatto che un sottoinsieme degli utilizzatori, raramente, insieme ad altri sconosciuti, commenta i video; né vi sono funzioni che stimolino l’interazione tra le persone; basti pensare, al contrario, a quanto sono sviluppate le funzioni per la condivisione (hai diversi formati, puoi includere il video, puoi modificare l’aspetto del player, stabilire se mostrare i video correlati ecc … ); se ne parlo qui è solo perché, come in questo caso, spesso le aziende fanno bella mostra dei loro canali contestualmente alla visualizzazione degli account social;
  • in secondo luogo, ritengo che il particolare formato richiesto (il video) vada rispettato fino in fondo: questo significa che se un’azienda si esprime con questo formato e frequentemente realizza dei video per inviare messaggi, allora ha senso parlare di YouTube come di un canale di comunicazione; in caso contrario, se un’azienda ha solo qualche video realizzato sporadicamente (uno spot, 2 interviste, qualche evento o passaggio tv) allora YouTube diventa semplicemente un repository, il luogo più comodo dove mettere i propri video per poi richiamarli altrove (sito, Facebook, Twitter ecc … );
  • in terzo luogo, considerato il costo e l’impegno necessari a realizzare un video (comunque sempre superiore alla realizzazione di un post o un tweet) la maggioranza assoluta delle aziende italiane (e non solo) non si trova nella condizione di utilizzare il canale YouTube come uno strumento strategico di comunicazione ma, semplicemente, come il contenitore dei propri pochi video.

Francamente, con i suoi 16 video caricati ed i suoi 39 iscritti al canale, credo che l’account YouTube di Gi Group confermi questa tesi. E le oltre 18.000 visualizzazioni anche, perché sono quelle effettuate nei luoghi in cui sono stati inseriti (non a caso, i più visti sono esposti e raggiungibili dall’account di Facebook).

La Sindrome di Leroy Merlin (conosciuta anche come “deriva del designer”)

Ne ho già parlato in un mio precedente post: quando l’attivazione degli account social di un’azienda è frutto dell’impulso ad occupare tutte le piattaforme invece che figlio di un ragionamento di web marketing, siamo in presenza della sindrome.

In figura si può vedere tutto quello che pubblica Adecco sul proprio sito: le icone degli account a social network (Facebook, Linked-IN, Twitter) ma anche altro: la A conduce all’app mobile sull’Apple store, il simbolo degli RSS porta alla pagina del canale, poi YouTube, Flickr, Forsquare ed Issuu (che, confesso, non conoscevo).

Che cosa hanno in comune queste icone ed i relativi servizi? Qual è la logica per cui sono proposti agli utenti tutti lì, in fila indiana?

Per gli account che Adecco ha aperto su YouTube, Flickr e Issuu vale quello che dicevo sopra: sono utilizzati come semplici repository, e non potrebbe essere diversamente, perché Adecco non si esprime quasi mai (e giustamente) nei formati richiesti (video, foto e documenti).

Tanto è vero che, sul canale YouTube, troviamo solo 4 video, solo 48 iscritti e solo 4.600 visualizzazioni; sul canale Flickr abbiamo 15 album, per la maggior parte con zero commenti e pochissime visualizzazioni; su Issuu abbiamo 18 documenti, molti dei quali visti 1 o 2 volte in tutto. Insomma, poca roba dappertutto …

Infine, il desolante profilo su Forsquare che contiene ancora il testo standard (vedi figura).

Che senso ha tutto questo? E’ evidente che il motivo per cui questi servizi sono affiancati è puramente estetico: le icone, tutte insieme, sono carine; così ha deciso il designer … ma il marketing manager dov’era?

E’ un modo di approcciare al social marketing che non mi convince. Ritengo che se un social è strategico per la comunicazione, merita visibilità sulla home (e in ogni altro luogo in cui sia utile) con investimenti adeguati da parte dell’azienda;

ma al contrario, se è solo uno strumento a supporto (o peggio, una moda) non merita tanta visibilità perché l’unico risultato è la confusione e l’effetto boomerang.

Esistono solo 3 social, tutto il resto è repository

Considerata la homepage di Adecco, attenta ad offrire attenzione, messaggi e servizi ad entrambi i target (Candidati e Aziende), come vengono gestiti gli altri 3 social?

L’account Facebook di Adecco (28.800 fan accumulati dal 30 gennaio 2010, 24 mesi) dichiara la mission della pagina in modo chiaro (e con argomenti a supporto) fin dall’immagine di copertina.

L’accesso agli annunci di lavoro raggruppati per settore economico, il trova filiale, le funzioni di invio CV dicono chiaramente quanto questa pagina sia dedicata ai candidati. Fatta la scelta, è coerentemente perseguita. Bene!

L’account di Twitter (2050 follower dal maggio 2010, 24 mesi) ribadisce questo focus sui candidati ma con un’ottica che ho trovato intelligente; non sono postati qui gli stessi contenuti di Facebook ma contenuti redatti appositamente per Twitter, con la sua sintassi, in risposta ad utenti che contattano l’azienda su questo canale, con un tono che sembra veramente di dialogo (emblematico lo scambio in figura).

In pratica, adottando lo strumento secondo le modalità che lo stesso richiede, si riesce veramente a contattare candidati nuovi e ad offrire loro informazioni in linea. Oltre a raccontare diversi eventi in diretta di cui poi resta traccia. Anche qui, bene direi!

L’account su Linked-IN (decine di conversazioni, commenti numerosi e frequenti, un gruppo con oltre 7.000 membri) è focalizzato ancora sul target dei Candidati ma con un’ottica più problematica, in cui si affrontano problematiche più complesse legate al mondo del lavoro visto dal punto di vista dei candidati (oltre alle proposte di lavoro, ovviamente). Nel complesso, anche questo account è gestito in modo coerente (il che rende ancora più strana la distesa di loghi social male assortita di cui sopra).

Conclusioni (provvisorie, ovviamente)

Nel titolo del paragrafo già la prima: il mondo dei social network è in continua evoluzione, le persone interagiscono con i social network in modi che sono in continua evoluzione, le conclusioni sono, per forza di cose, provvisorie. Per dirla diversamente, stay tuned e continuate a studiare il fenomeno: solo questo vi aiuterà ad utilizzare correttamente gli strumenti del social marketing per la vostra azienda.

La seconda conclusione è: mettete a fuoco il vostro target e scegliete la vostra presenza social in modo coerente. Fidatevi del web marketing! Il fatto che un concorrente o un big del settore o semplicemente una grande azienda abbia fatto delle mosse non significa nulla (anche i grandi sbagliano). Non potete trasferire le scelte degli altri nella vostra realtà, a guidarvi deve essere sempre il vostro target.

La terza è: NON esiste il Facebook  marketing ma solo il web marketing! Non sfuggono a nessuno le differenze tecniche e strumentali che ci sono in Facebook, Twitter, Linked-IN e gli altri … ma la scelta strategica non è fatta in base allo strumento di moda ma in base … al vostro target (bravi, ben detto, a furia di ripeterlo …). Perciò vado su Facebook se è lì che trovo i miei potenziali clienti/utenti, altrimenti vado su Linked-IN, oppure vado su entrambi: in questo senso, esiste un unico approccio al web marketing, che poi sarà declinato sui social scelti in funzione degli strumenti del singolo social.

Quattro: attenti al riuso, la maggior parte delle volte si prende questa scorciatoia ma si finisce in un vicolo cieco, ed il social più a rischio è Twitter (#unostrumentoperpochi).

Cinque: YouTube è solo un repository (per la maggior parte delle aziende), non ostinatevi a dargli troppa visibilità, concentratevi piuttosto sul target e sul video (se veramente aggiunge valore alla vostra comunicazione).

Sei: NON fatevi prendere dalla Sindrome di Leroy Merlin. In altre parole, non aprite tanti account quanti sono i social di cui venite a conoscenza, perché questo non è web marketing ma  …  (ci siamo capiti … ). A guidarvi sia il vostro target, e la necessità di raggiungerlo per parlargli in modo coerente.

Sette: Esistono solo 3 social network, tutto il resto è repository. E’ un po’ estremo,  ma secondo me rappresenta bene l’orizzonte della maggior parte delle imprese italiane. I social network hanno senso (per la maggior parte delle aziende) in quanto rappresentano ampie platee di soggetti in target con le quali dialogare. Nello stesso tempo, lo sforzo per una gestione di web marketing professionale richiede risorse. Per ottimizzarne l’impiego, ha senso investire solo nelle platee più ampie (Facebook, 846 milioni di utenti, Twitter, 127 milioni, LinkedIN 150 – vedi qualche statistica).

Naturalmente, vi sono molti altri social network ma, a meno di avere un target che predilige specificamente un altro social (vedi terzo punto), dovendo scegliere se investire tra Facebook e Pinterest non avrei molti dubbi: nella maggior parte dei casi, il ritorno di Facebook sarà maggiore e più rapido.

Le altre abitualmente nominate (slide share, youtube .. ) per la maggior parte delle aziende, hanno senso solo come repository: <<ormai la presentazione in power point l’ho fatta, la carico su slideshare, qualche visita arriverà>> (in genere ne arrivano ben poche).

Ma se vuoi fare sul serio, allora vedrai che lo sforzo di produzione di contenuti sarà notevole … ed il ritorno? a parità di sforzo e contenuti prodotti, tanto valeva andare su Facebook, il ritorno sarebbe stato maggiore perchè la platea è maggiore (salvo le rare eccezioni dove i vostri clienti sono proprio su slideshare).

Sono tutte conclusioni provvisorie. E nello stesso tempo, scaturite da una visione parziale: non abbiamo intervistato il management delle aziende citate, non conosciamo il budget investito, non abbiamo indagato la relazione tra dimensione aziendale e sostenibilità degli strumenti; ci siamo limitati ad una interpretazione esplicita di ciò che abbiamo visto con l’intenzione di trarre indicazioni utili per il nostro lavoro e per le scelte dei manager che si rivolgono a noi.

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